La cultura del
calcio è drasticamente cambiata negli ultimi 50 anni. Oggi il Settore giovanile
della Federcalcio ha 700mila tesserati sotto i 16 anni e 7mila scuole calcio.
Gianni Rivera, che ne è il presidente, spiega perché si dovrebbe ritrovare lo
spirito di allora ed evitare che nell'educazione dei giovani calciatori
prevalga la logica del successo e del denaro. Negli anni '50, una palla, per le
strade di Alessandria, rotolava più facilmente. Poche macchine - in generale,
poche nel mondo - disturbavano la quiete e anche noi ragazzi che, dopo la
scuola, ci affrontavamo in interminabili partite. Nessuna riga a delimitare il
campo, quattro cartelle o quattro sassi per le porte, pari e dispari per
scegliere i compagni e decidere le squadre. Oltre al pallone, non serviva molto
altro e si giocava in quanti si era: due contro due, cinque contro quattro col
portiere volante, sette contro sette e non c'era limite al campo e alla
fantasia.. Partite memorabili, le cui azioni ci raccontavamo i giorni a venire.
I nostri genitori, al calare della sera, ci venivano a raccogliere che eravamo
sporchi ma mai stanchi di giocare. E i campioni, nascevano lì o da quelle
parti.
Non è il sapore
buono delle cose andate. Il mondo cambia, ed è naturale che sia così. Ma lo
spazio della libertà nel gioco, oggi, è assolutamente limitato e, in gran
parte, istituzionalizzato. L'urbanizzazione, la cementificazione selvaggia e le
automobili hanno rinchiuso negli impianti la possibilità del gioco. Non ho mai
frequentato una scuola calcio, non ne esistevano; oggi anche per giocare negli
oratori devi essere tesserato a qualcosa, altrimenti fai fatica a giocare con
gli altri.
Oggi sono
presidente del Settore giovanile della Federcalcio e ho davanti a me più di
700.000 tesserati tra i 5 ed i 16 anni e 7000 scuole calcio; al posto degli
scarpini vesto un sano pragmatismo attraverso il quale cerco di capire quale è
la cosa più giusta da fare. Cosa prendere dal passato per costruire il futuro?
Certo le macchine ed il cemento non aiutano, ma forse tentare di recuperare lo
spirito originario del gioco, quello sì che aiuterebbe.
L'indicazione che
attraverso il Settore Giovanile stiamo cercando di dare ai tecnici delle scuole
calcio, è quella di dare maggiore attenzione alla tecnica di base. Gli ultimi
anni sono stati caratterizzati da un'eccessiva fisicità: fantasia e la libertà
di esprimerla, senza rinchiuderla in logoranti schematismi e tatticismi, magari
ricreando i presupposti dello spirito originario.
Nella Guida tecnica
che forniamo nei nostri corsi, diciamo di variare, a seconda dell'età, il
numero dei giocatori e la grandezza del campo da gioco: più palloni un allievo
è in grado di toccare, più affinerà la sua tecnica, inventiva e motricità.
Ricreare uno spazio di libertà, a misura di bambino. Spesso, sui campi, vedo
scimmiottare la serie A e piccoli di 8 anni giocare su campi regolamentari, 11
contro 11, più per soddisfare la volontà dei grandi che le effettive esigenze
dei piccoli. Una nuova cultura pedagogica deve essere riaffermata, travalicando
quelli che sono i dettami della società regolata dalle leggi di mercato. A
partire dai tecnici, passando per i dirigenti e, non ultimi, i genitori.
I principi
dell'educazione del bambino non devono essere governati dalla sola logica del
successo e del denaro; una logica, questa, che riguarda molto di più gli adulti
perché ai bambini interessa divertirsi giocando. E' il tecnico l'apice del
triangolo; suo, sul campo, è l'approccio educativo che deve vedere il ragazzo
come fine e non come mezzo delle personali ambizioni. Quest'anno, insieme al settore Tecnico, abbiamo varato due corsi
sperimentali chiamati Uefa C. A partire
da questo, il prossimo anno entrerà a regime una nuova figura tecnica che avrà
il compito di occuparsi solo dei giovani, un vero e proprio maestro di calcio.
Che tenti, con il ragazzo, un approccio a 360 gradi, creando i presupposti per
un buon cittadino, oltre che per un buon calciatore. Un progetto pedagogico che
veda coinvolti, genitori, società e tecnici; un progetto condiviso che metta al
centro il bambino, tanto da allontanare quelle aberrazioni comportamentali a
cui, spesso, assistiamo a bordo campo.
Divertimento, etica
e tecnica, un'alchimia difficile, ma non troppo. Basta averne od imparare ad
averne un po'dentro per riuscirla a trasmettere. Un'ultima parola vorrei dirla
ai genitori: serve la voglia di mettersi in gioco, giocando con i propri figli,
cercando di non essere solo degli spettatori sugli spalti ed avere la capacità
di trasformare lo spettacolo televisivo del calcio in cultura sportiva.
di Gianni Rivera
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